Se con la nascita delle prime democrazie europee il pluralismo -sia come valore fondante della democrazia, sia come caratteristica delle sue esplicazioni- ha rappresentato la tensione di fondo verso una società libera, nell’occidente contemporaneo il pluralismo è diventato uno degli indicatori più importanti per comprendere il grado di democratizzazione di un paese.
Chiaramente non è difficile immaginare che esistano due aspetti della questione: uno formale (il recepimento del principio pluralista all’interno dell’ordinamento giuridico) e uno materiale (l’effettivo rispetto di questo principio all’interno della società).
Considerando quest’ultimo aspetto e la forte interconnessione fra democrazia e mondo dell’informazione, si può affermare l’esistenza di un diretto rapporto fra la salute del sistema democratico e il grado di pluralismo (il c.d. “pluralismo informativo”) del sistema dei media (sia tradizionali che digitali).
Nel “Report 2023” dell’Osservatorio sul Giornalismo Digitale l’analisi del sociologo Davide Bennato ci fornisce un quadro chiaro e completo della situazione relativa al pluralismo informativo in Italia. Utilizzando i dati del Centre for Media Pluralism and Media Freedom dell’European University Institute (2022) Bennato analizza la situazione italiana, sia dei media tradizionali che di quelli online, prendendo in riferimento quattro dimensioni: protezione dei diritti fondamentali, pluralismo di mercato, indipendenza politica e inclusione sociale.
Dal punto di vista della protezione dei diritti fondamentali il quadro va scorporato tra la dimensione formale e quella materiale: se da una parte, infatti, il quadro normativo tutela il professionista nel libero esercizio della sua professione, dall’altra parte la categoria rimane esposta alla spada di Damocle della querela (le c.d. “querele temerarie”).
Si capisce come, da questo punto di vista, il libero esercizio diventa subordinato della facoltà di poter disporre di una buona difesa.
Per quanto riguarda il pluralismo di mercato la situazione italiana si avvicina più a quella di un oligopolio che di una libera concorrenza, anche se l’alta concentrazione di proprietà delle linee editoriali potrebbe essere vista come una tutela rispetto all’instabilità dei mercati.
I fattori di rischio per l’indipendenza politica dei media, invece, sono di natura “storica” come la poca indipendenza del sistema di nomine del servizio pubblico e la mancanza di una disciplina efficace per i conflitti di interesse.
La valutazione dei fattori di rischio riguardanti l’inclusione sociale è rilevante più che altro nel mondo del giornalismo online, in cui ad una scarsa alfabetizzazione informatica del nostro paese si aggiunge il rischio dell’hate speech e della produzione di fake news.
In sintesi, la capacità dell’ambiente mediatico di esprimere una visione pluralista della società si accompagna ad una più efficace applicazione delle norme a tutela delle categorie professionali del mondo dell’informazione, ad un maggior sostegno economico verso il mondo editoriale, a una revisione dei rapporti fra il mondo della politica e dell’informazione e ad una migliore regolamentazione e istruzione al mondo dell’online. Articolo di Mattia Pusceddu