I giornali italiani iniziano a raccontare meglio la violenza di genere. È quanto emerge dal nuovo Rapporto dell’Osservatorio indipendente Step–Ricerca e Informazione, presentato martedì 8 aprile 2025 nella sede della Federazione nazionale della Stampa italiana (Fnsi), durante la conferenza stampa dal titolo “Quei bravi ragazzi… La violenza contro le donne nel racconto della stampa”.
Un appuntamento per fare il punto sull’evoluzione del linguaggio giornalistico, a otto anni dal Manifesto di Venezia, nato per promuovere un’informazione rispettosa e consapevole nei confronti delle vittime. A introdurre i lavori è stata Mara Pedrabissi, presidente della Commissione Pari Opportunità della Fnsi:
«Mi fa piacere constatare che, rispetto al 2017, si nota un miglioramento nella consapevolezza dei giornalisti nel trattare i casi di violenza di genere».
La narrazione si trasforma: più attenzione all’aggressore
A illustrare i dati è stata la professoressa Flaminia Saccà, presidente dell’Osservatorio Step e docente dell’Università La Sapienza:
«I miglioramenti ci sono, anche se ancora parziali. Si comincia a intravedere chi è l’autore della violenza: nel 2017 sembrava che la violenza fosse un evento imprevisto, quasi accidentale. Oggi i titoli riconoscono più chiaramente l’ex partner come responsabile, soprattutto nei casi di femminicidio».
Ma resta una tendenza pericolosa: l’empatia verso il femminicida, che riaffiora in particolare quando la vittima è anziana, malata o socialmente vulnerabile. In molti articoli, l’uomo viene descritto con tratti che tendono ad attenuare la gravità del gesto.
Il racconto della violenza: numeri e tendenze
Il monitoraggio, condotto su 3671 articoli pubblicati da 25 testate nazionali, rivela che nel 2024 113 donne sono state uccise, di cui 99 in contesto familiare o affettivo. In 61 casi, a uccidere è stato il partner o l’ex.
I quotidiani più attivi nel coprire i casi di violenza sono risultati Il Messaggero (9,9%), La Gazzetta del Mezzogiorno (8,8%) e Il Gazzettino (7,5%). Novembre, in corrispondenza della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è stato il mese più ricco di articoli (14%).
Le forme di violenza più raccontate sono:
- Femminicidio (25%)
- Violenza sessuale (20%)
- Lesioni personali (18%)
- Violenza domestica (17%)
Nel 74% dei casi, la donna conosce il proprio aggressore, e nel 70% si tratta di un familiare. Il movente è spesso descritto come prevaricazione o gelosia, mentre cala l’uso del termine “raptus” (3%), che in passato veniva abusato per giustificare l’atto violento.
La parola ai protagonisti: squilibrio di voci
Il rapporto evidenzia uno squilibrio nel racconto: le vittime vengono citate o rappresentate in 5063 casi, contro i 3027 dell’aggressore. Tuttavia, mentre dell’offender si forniscono dettagli sulla personalità e le motivazioni, della vittima spesso si evidenziano solo dati anagrafici, accompagnati da aggettivi come “terrorizzata”, “disperata”, “sconvolta”. Ancora troppo poca attenzione viene data alla sua prospettiva e alla sua storia.
«Il linguaggio può diventare complice della violenza, se veicola stereotipi» – ha sottolineato la giornalista Mimma Caligaris, componente dell’Osservatorio e della Cpo Fnsi. – «Attenzione ai termini: il femminicidio non è un incidente né un raptus. Niente diminutivi come “fidanzatino” o foto di coppia sorridente».
Linguaggio e responsabilità: il cambiamento parte dalle parole
Il monito arriva chiaro anche da Mara Pedrabissi:
«Il linguaggio è il primo passo per un cambiamento culturale. Le nuove raccomandazioni del Codice deontologico dei giornalisti, in vigore dal prossimo 1° giugno, offrono uno strumento concreto per rafforzare questa consapevolezza».
Alla conferenza stampa erano presenti anche i senatori Cecilia D’Elia e Filippo Sensi, a testimonianza dell’urgenza di un impegno trasversale per una narrazione responsabile, capace di contribuire realmente alla lotta contro la violenza di genere.