Non molto tempo fa, l’idea che la carne nei nostri piatti provenisse da grandi bioreattori in acciaio inossidabile, invece che da animali allevati in fattoria, sembrava fantascienza. Oggi, lo sviluppo tecnologico ha trasformato un’ipotesi avveniristica in una realtà in pieno sviluppo, consentendo la produzione di carne artificiale.
La carne coltivata, identificata anche come in vitro o sintetica, è prodotta partendo dalle cellule muscolari dei tessuti animali che vengono poste in un ambiente sterile, in cui le stesse proliferano su larga scala, replicando così i profili sensoriali e nutrizionali della carne convenzionale. La loro moltiplicazione, che avviene ogni 24 ore, è possibile grazie a un mezzo di coltura ricco di nutrienti, ormoni e fattori di crescita.
Questo argomento ha scatenato un feroce dibattito, anche per via delle recenti decisioni prese dal Governo italiano.
Lo scorso 6 aprile è stato approvato in Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, e del Ministro della Salute Orazio Schillaci, il disegno di legge che impone il divieto di impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare o comunque distribuire per il consumo alimentare, cibi o mangimi costituiti, isolati o prodotti, a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati.
Finalità del provvedimento, in mancanza di una specifica normativa europea in materia di alimenti e cibi sintetici, è assicurare il massimo livello di tutela della salute dei cittadini e preservare il patrimonio agroalimentare, quale insieme di prodotti di espressione del processo di evoluzione socioeconomica e culturale dell’Italia.
“Guardiamo alla tutela della nostra collettività. Come Governo abbiamo affrontato il tema della qualità che i prodotti da laboratorio non garantiscono. Abbiamo voluto tutelare la nostra cultura e la nostra tradizione, anche enogastronomica. Se si dovesse imporre sui mercati la produzione di cibi sintetici, ci sarebbe maggiore disoccupazione, più rischi per la biodiversità e prodotti che, a nostro avviso, non garantirebbero benessere. Non c’è un atteggiamento persecutorio ma di forte volontà di tutela”, così il Ministro Lollobrigida in conferenza stampa a Palazzo Chigi con il Ministro della Salute Schillaci, dopo l’approvazione del provvedimento.
Nel resto del mondo, le cose vanno diversamente.
Già nel 2013, lo scienziato olandese Mark Post, in diretta televisiva, ha presentato il primo hamburger di carne coltivata. Il processo è stato “preso in prestito” dalla ricerca sulla medicina rigenerativa. Infatti, il Professore citato stava precedentemente lavorando alla riparazione del tessuto cardiaco umano. Appena due anni dopo, sono state fondate le prime quattro aziende di produzione.
Da allora il settore è cresciuto fino a vedere la nascita di oltre 60 aziende in 6 continenti, sostenute da centinaia di milioni di dollari di investimenti. Un gran numero di laboratori accademici in tutto il mondo si sono formati alla ricerca di soluzioni tecnologiche per la produzione su scala industriale di alimenti a base di carne coltivata.
Decenni di conoscenze accumulate nella coltura cellulare, nella biologia delle cellule staminali, nell’ingegneria dei tessuti, nella fermentazione e nell’ingegneria chimica e dei bioprocessi, hanno preparato il terreno alla produzione di questo controverso prodotto.
Come si ottiene la carne artificiale?
Il processo inizia con l’acquisizione delle cellule staminali animali, che vengono introdotte in bioreattori ad alta densità e volumi. Analogamente a quanto avviene all’interno del corpo di un animale, attraverso l’alimentazione con un mezzo di coltura ricco di ossigeno, costituito da nutrienti di base come aminoacidi, glucosio, vitamine e sali inorganici, e integrato con proteine e altri fattori di crescita, si andrà a costituire un tessuto, che darà quindi origine al prodotto finito.
Le cellule staminali utilizzate per la produzione di carne coltivata possono essere acquisite in diversi modi. Il sistema più comune consiste nel prelevare un campione da un animale vivo, utilizzando metodi minimamente invasivi.
In alcuni casi, queste cellule si possono ottenere mediante biopsia di un animale abbattuto di recente, in cui il tessuto è ancora vitale, il che potrebbe essere importante per determinarne la conformità alle leggi religiose, ad esempio halal e kosher.
Infatti, affinché la carne sia consentita dalle leggi islamiche ed ebraiche, si devono rispettare regole rigide sulla macellazione dei capi. La carne coltivata è destinata a scatenare vivaci dibattiti tra i leader religiosi di tutto il mondo, considerato che le interpretazioni delle scritture variano a seconda dello stato in cui ci si trova.
Quali sono i benefici della carne coltivata?
Per la natura del suo processo di produzione più efficiente, la carne coltivata dovrebbe avere una serie di vantaggi rispetto all’allevamento animale tradizionale. Le valutazioni prospettiche del ciclo di vita, indicano che si utilizzerà in maniera significativa meno terra e acqua, si emetterà meno gas serra e si ridurrà l’inquinamento e l’eutrofizzazione degli ambienti acquatici.
Secondo una pubblicazione del 2020 su “Nature Food”, la produzione commerciale dovrebbe avvenire interamente senza antibiotici, ed è probabile che si traduca in una minore incidenza di malattie di origine alimentare, grazie alla mancanza di rischio di esposizione ad agenti patogeni enterici.
Si prevede che nei prossimi decenni, la carne coltivata e le altre proteine alternative, (pensiamo ai prodotti a base di insetti) conquisteranno quote di mercato significative. Questo cambiamento mitigherà la deforestazione, la perdita di biodiversità, la resistenza agli antibiotici, i focolai di malattie zoonotiche, l’allevamento iperintensivo e la conseguente macellazione industriale degli animali.
Questo, secondo le previsioni più ottimistiche.
In realtà, davanti alla domanda che gli scienziati si sono posti: “coltivare la carne è meglio per l’ambiente?” emergono ancora forti dubbi. Tralasciando l’aspetto etico, che merita un approfondimento a parte, la verità è che non possiamo saperlo finché non si svilupperà una produzione su larga scala.
Ipotizzare i potenziali impatti di un’industria biotecnologica in rapida evoluzione che è ancora in fase di sviluppo, è un azzardo. Uno studio del 2019 dell’Università di Oxford ha fatto emergere che l’energia utilizzata per produrre carne coltivata potrebbe rilasciare più gas serra rispetto all’allevamento tradizionale.
Il compimento del processo richiede infatti, un grande dispendio energetico. Considerato che, ancora oggi, la maggior parte dell’elettricità utilizzata deriva da combustibili fossili, si evidenzia l’importanza di impiegare delle fonti sostenibili per la produzione della carne coltivata. Come soluzione al problema, si potrebbe sfruttare la terra che non verrebbe destinata all’allevamento intensivo, per la coltivazione di alimenti proteici vegetali, e per generare energia extra rinnovabile, che equilibrerebbe le emissioni di CO 2.
Che aspetto ha la carne in vitro?
L’agricoltura cellulare non coltiva tagli di carne con ossa e pelle o grasso marmorizzato, come una normale bistecca in commercio.
Le cellule muscolari richiedono condizioni e nutrienti diversi rispetto alle cellule adipose, quindi devono essere prodotte separatamente. Questo è il motivo per cui i primi alimenti a base di carne coltivata, sono stati bocconcini di pollo e hamburger.
Ad oggi, esistono molti interessanti prototipi di carne coltivata, che si presentano come non strutturati e ricordano la carne macinata. Sono stati testati sul gusto ma molte caratteristiche sensoriali sono ancora sconosciute.
Il Santo Graal di questa innovativa industria è ottenere un prodotto complesso, come una bistecca o un petto di pollo, ma le tecnologie attuali non sono ancora in grado di realizzare l’impresa. Saranno necessari significativi progressi nelle tecniche di ingegneria dei tessuti per commercializzare su larga scala prodotti dalle forme definite.
Quando arriverà sul mercato?
La Singapore Food Agency ha approvato nel dicembre 2020, la prima vendita al mondo di un alimento a base di carne coltivata. Poco tempo dopo, il ristorante “1880” di Singapore, ha compiuto lo storico passo di inserire nel proprio menù un piatto di bocconcini di pollo coltivato, prodotto da Eat Just, con sede in California.
Attualmente i costi dei cibi di prima generazione sono piuttosto elevati e dipendono non soltanto dai processi produttivi ma anche dagli elementi nutrienti usati per la proliferazione cellulare. Un modo per compensare questi costi è creare un prodotto ibrido in cui le cellule animali coltivate sono combinate con ingredienti di origine vegetale. Solo se prodotta su larga scala il prezzo potrà scendere e competere con la carne economica e di allevamento intensivo.
La maggior parte dei produttori di carne coltivata, lavora con linee cellulari ben caratterizzate, che hanno la capacità di proliferare continuamente nel tempo, andando a generare carne all’infinito senza aggiungere nuove cellule da un organismo vivente.
Per accelerare la disponibilità di linee cellulari, si stanno finanziando molteplici progetti di ricerca che coinvolgono specie diverse, dal bestiame terrestre, agli animali acquatici.
Si sta inoltre lavorando per conservare e distribuire linee cellulari presentate da ricercatori su scala globale nell’ambito accademico e industriale, favorendo un facile accesso grazie a bio-depositi che nasceranno in ogni parte del mondo.
Quali sono le prospettive per i prodotti finali?
L’ingegneria genetica, se consentita, potrebbe essere utilizzata per rimuovere gli allergeni o le proteine legate al rischio di cancro in alcune tipologie di carne. Potrebbe anche inserire geni in grado di fortificare i prodotti con precursori della vitamina A, non presenti nelle carni convenzionali, o ridurre i grassi saturi e il colesterolo, introducendo i grassi sani. O ancora, creare un’alimentazione personalizzata per esigenze dietetiche specifiche.
Cosa accadrebbe agli allevatori e ai loro animali se la carne coltivata decollasse?
“Prevediamo che l’agricoltura convenzionale su piccola scala sarà ancora utilizzata per tagli di carne e prodotti lattiero-caseari di alta qualità per gli anni a venire”, afferma Post. “Questa transizione proteica avverrà nel corso di decenni e le innovazioni raramente sostituiscono completamente le pratiche esistenti. L’agricoltura cellulare ha il potenziale per creare una relazione più equilibrata e simbiotica tra i piccoli agricoltori, i consumatori e il pianeta”.
La questione etica
Tuttavia, viene da chiedersi, perché sostituire la carne con più carne? Perché promuovere la carne in vitro quando una soluzione praticabile può essere un approccio sinergico che favorisca le diete a base vegetale? Perché non ridurre gradualmente la produzione di alimenti di origine animale e passare a un’alimentazione vegetariana, invece di introdurre un altro prodotto in un mercato alimentare già confuso?
La risposta più sensata la troviamo nella sensibilizzazione dei consumatori, così da far loro capire la necessità di passare a sistemi alimentari più sostenibili, che non implichino l’utilizzo di cibo coltivato in laboratorio.
Gli esperti concordano ampiamente sul fatto che diminuire il consumo di carne possa fare solo del bene alla salute umana e planetaria. Ecco perché è necessario capire se questa abitudine, diffusa e senza sensi di colpa, possa essere controproducente in futuro, per praticare diete sane e sostenibili, considerato che la carne tradizionale e quella coltivata si ottengono in modi molto diversi, ma è scientificamente provato che i prodotti finali siano quasi identici e con gli stessi nutrienti.
Un proverbio derivante dalla saggezza popolare dice: “non vivo per mangiare, ma mangio per vivere”. In altre parole, mentre il piacere del cibo è relativamente importante, lo scopo principale del mangiare è acquisire energia per la crescita e per il corretto funzionamento del nostro organismo.
Pertanto, una persona virtuosa può ritenere che una salute ottimale non richieda il consumo di alcun prodotto animale.
Nella realtà una buona cultura alimentare, dovrebbe portarci a valorizzare l’agricoltura sostenibile e a promuovere il consumo moderato di carne tradizionale a un livello che favorisca una buona salute, che sia rispettoso dell’ambiente e che consenta il trattamento etico, non intensivo e responsabile degli animali d’allevamento, senza necessità di inserire nelle nostre diete la carne coltivata.
di Sara Sanna